Sociale

Antiracket, il grande esempio di Caponetti all’istituto “Minghetti” di Legnago

Momento di alta partecipazione sociale, nella mattinata di ieri, per alcune classi dell’istituto superiore “M. Minghetti” di Legnago. Gli studenti, infatti, hanno potuto ascoltare la testimonianza di Renzo Caponetti, presidente dell’associazione antiracket di Gela, in Sicilia.

Un imprenditore che da quasi vent’anni vive con la scorta, e che ogni giorno fornisce il suo contributo fondamentale nel contrasto alla mafia, in primis battendosi contro l’imposizione del “pizzo”.

«Vivo scortato da 17 anni, però, nonostante tutto quello che ho passato, nonostante che i migliori anni della mia vita se ne sono andati così, io rifarei tutto quello che ho fatto, senza nessun dubbio» ha detto, non senza un filo di commozione, Caponetti, parlando con alle spalle la celebre foto che vede i giudici Falcone e Borsellino uno accanto all’altro.

«Io vengo da una cittadina tristemente nota per il suo passato – ha aggiunto Caponetti – soprattutto per la “guerra di mafia” e per il 140 morti ammazzati. E’ una cittadina che voleva vivere come vivono tutti gli altri, ma abbiamo avuto la sfortuna, la disgrazia, di avere negli Anni ’90 due cosche mafiose, la “Stidda” e “Cosa nostra”, che hanno torturato i nostri commercianti, e tutti pagavano il pizzo, tutti indistintamente porta per porta. Era una regola, erano tutti obbligati».

«Io sono stato uno di quelli, insieme ad altri quattro-cinque, che ci siamo sempre ribellati, non abbiamo voluto pagare. Io, personalmente, entravo e uscivo dalla caserma dei Carabinieri, dal Commissariato, dalla Guardia di Finanza, e ricordo che una volta, un ispettore di Polizia mi disse: “Sa, abbiamo intercettato una telefonata in cui dicevano di non avvicinarsi a Caponetti, che subito vi denuncia perché è amico degli sbirri”. Già la frase “amico degli sbirri”, significava essere qualcosa di brutto nei loro confronti».

«Ma la cosa straordinaria, che è bene sappiate, è cosa successe quando cercammo di iniziare quattro-cinque imprenditori, non di più, per provare a formare un’associazione antiracket, in maniera da aiutarci e aiutare anche gli altri perché, quando si è soli, si viene subito evidenziati, e si faceva una brutta fine. La “Stidda” decise, per “educare” coloro che stavano alzando la testa, che stavano cercando di ribellarsi, di fare un “sorteggio”. Misero in un cappellino dei pizzini, con diversi nomi e, tra i nomi che c’erano, compreso il mio, uscì quello di Gaetano Giordano, che era un nostro concittadino, caro amico mio, che aveva una profumeria lì a Gela, e fu ucciso il 10 novembre 1992. Così, a caso, poteva capitare a tutti».

Questo fatto, inizialmente spense sul nascere ogni desiderio di provare a fare qualcosa per contrastare la pratica del pizzo a Gela ma, dopo qualche anno, Caponetti e un altro manipolo di imprenditori e commercianti, riunirono le forze, fondando la sezione antiracket locale, e intitolandola proprio a Gaetano Gordano.

Oltre a fare da punto di riferimento per i suoi colleghi, Caponetti si fa carico anche di un’altra opera meritoria ossia, appunto, quello di girare per le scuole di tutta Italia per far capire alle generazioni future cosa sia la mafia, e quanto sia importante non abbassare la testa.

«La scuola – sostiene Caponetti – è al primo posto. I ragazzi hanno bisogno di capire le vie giuste da seguire. Ai ragazzi devo far capire che nessuno si deve voltare dall’altro lato. Devono capire da che parte stare».

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