Intervento della psicologa Giuliana Guadagnini sulla tragedia della ghiacciaia in Lessinia
Annunciare la morte di una persona con cui c’è un legame affettivo non è mai semplice ed è un compito a cui spesso tutti siamo impreparati; in molti casi non si ha la necessaria serenità per parlarne…ma bisognerebbe trovarla prima di affrontare il discorso. Potrebbe allora essere utile chiedere l’aiuto/supporto di uno psicologo che possa trovare insieme a chi ne ha bisogno le parole giuste, o il momento opportuno per parlarne, specie per i bambini e magari anche per rispondere alle loro domande. Per i più piccoli può essere utile utilizzare un libro per bambini che affronti l’argomento.
Quando i bambini iniziano a fare domande hanno bisogno di risposte vere, veritiere, comprensibili. Le credenze e la consapevolezza sulla morte cambiano a seconda delle età: prima dei tre anni, il bambino inizia a formarsi un’idea di morte vedendo insetti o piccoli animali e si dà delle spiegazioni (ad esempio se si va dal dottore si resuscita oppure pensa che muoiano solo i cattivi). Quando inizia la scuola materna comincia a capire che la morte è una cosa reale ma pensa che si possa evitare, che sia causata solo da incidenti. All’inizio della scuola elementare, il bambino comincia a capire che la morte può colpire tutti e che può avere cause diverse.
Dai 7 o 8 anni è possibile una vera elaborazione del lutto e verso i 10 anni la morte assume caratteristiche di irreversibilità, universalità e imprevedibilità. Durante l’adolescenza il ragazzo è affascinato dalla morte, ci pensa molto, ma ancora non si rende davvero conto del suo carattere definitivo e che possa toccare anche lui. Rispondere adeguatamente a una domanda evita il rischio che i bambini possono farsi idee strane sulla morte e su quanto capitato alla persona a cui volevano e vogliono ancora bene; rispondere adeguatamente significa usare parole semplici e dirette, non usare metafore né giochi di parole come ad esempio “è partita per un viaggio”, “è in cielo”, “si è addormentata”, “l’abbiamo persa”.
Anche se specialmente per i più piccoli il concetto di morte come evento non reversibile è molto difficile da comprendere, sta all’adulto evitare accuratamente termini che potrebbero causare confusione e fraintendimenti: perché i bambini infatti potrebbero anche pensare che prima o poi la persona tornerà, o provare rabbia perché se ne è andata senza salutare, ma anche sentirsi in qualche modo in colpa o sentirsi responsabili della sua “fuga”.
Alcuni suggerimenti utili che come professionista mi sento di dare agli adulti sono: esprimere concetti semplici e condivisi con altri adulti, evitando così una sovrapposizione di più “verità”, anche tenendo conto dei social network e dei gruppi di amicizia; evitare di dare giudizi o usare frasi fatte relativamente alla morte; chiedere ai bambini se ci sono parole che non hanno capito; spiegare le proprie emozioni e motivare gli eventuali cambiamenti comportamentali; parlare con i bambini e condividere le emozioni della perdita; sono da evitare tutte quelle frasi che di fatto si usano più spesso con l’illusione di rendere la morte più accettabile per il bambino.
Il bambino deve sapere sin da piccolo che gli eventi luttuosi sono connessi a pensieri, emozioni ed azioni caratteristici, che vanno condivisi ed accolti.
Nascondere a un bambino il pianto, la rabbia o la paura non gli permette di esprimere poi a sua volta il pianto, la rabbia o la paura. È infatti molto importante lasciare ai bambini la possibilità di “scegliersi” la loro modalità emotiva, mostrando un atteggiamento di apertura e comprensione nei confronti delle loro reazioni.
In generale, nei bambini si riscontrano una serie di reazioni a breve termine, via via più complesse o intense con l’innalzarsi dell’età e quindi della consapevolezza.
Di fronte alla morte di qualcuno, tanto più se “importante” (un genitore, un nonno, un amico…), il bambino può sviluppare uno stato di ansia, sia legato alla perdita vera e propria che conseguente al clima di tensione che respira intorno a sé.
Potrebbe sviluppare un attaccamento ossessivo nel tentativo di avere un controllo sulle persone e sugli eventi, cercando anche di non restare mai da solo.
Ad esempio potrebbe aver paura di entrare in una stanza da solo o di restare da solo in bagno, anche se prima non dimostrava nessun disagio: avere una persona “sotto gli occhi” lo rassicura sul fatto che questa non possa scomparire.
L’aumento dell’attività motoria aiuta il bambino a sfogarsi. In particolare, quanto più il bambino è piccolo tanto più la “scarica motoria” (ossia agitazione, irrequietezza, “capricci”…) è il solo modo che conosce per esprimersi.
Spesso non riesce a piangere o a parlar della perdita perché aspetta quasi di vedere un adulto fare lo stesso per avere la sua “autorizzazione”. La negazione, invece, è un meccanismo di difesa che deve avere una breve durata per non provocare fissazione nei comportamenti.
Spesso i bambini cercano di fare o pensare a cose piacevoli per distrarsi dal pensiero triste. A volte alcuni bambini, specie piccoli, si attaccano morbosamente a un oggetto, a un giocattolo, e si disperano se lo perdono di vista anche momentaneamente.